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La strategia a 5 Stelle per il governo

La strategia a 5 Stelle per il governo
Matteo Renzi ha vinto largamente le primarie del Partito Democratico consolidando la propria leadership in vista delle prossime elezioni. Tuttavia, dalla competizione per la segreteria del 2013 i democratici hanno perso circa un milione di votanti (passando da 2,8 a 1,8 milioni). Un segno del peso di quasi cinque anni al governo, tre premiership cambiate, lotte fratricide e molti problemi nel disegnare riforme efficienti per il Paese. Tanto i militanti del partito quanto gli elettori se ne sono accorti perché calano sia i primi che i secondi, almeno stando ai sondaggi.

Alla testa delle rilevazioni demoscopiche si piazza il Movimento 5 Stelle che è il vero argomento di discussione nei palazzi del potere romano. Il titolare di questa newsletter ha avuto modo di fare una serie di chiacchierate informali con personalità vicine alle alte sfere grilline, colloqui che hanno delineato un piano chiaro di strategia dei pentastellati per raggiungere Palazzo Chigi. Se la legge elettorale resterà quella uscita dalla Consulta (o al massimo verrà adeguata per il Senato) e se si scarta l’ipotesi che una lista riesca a raggiungere il 40% per ottenere il premio di maggioranza, ai grillini non resta che l’opzione 'geometria variabile'. Cosa significa?

Se il Movimento si impone come primo partito alle urne l’idea è quella di andare dal Presidente della Repubblica Mattarella per chiedere un mandato esplorativo per formare un governo. Se il Quirinale fornirà il placet a questa soluzione si apriranno le consultazioni ed è qui che i 5 stelle avvieranno la propria strategia. Un programma di governo di pochi punti da condividere con sia con la Lega Nord che con la sinistra extra PD per avviare un esecutivo dalle maggioranze variabili. Per i leghisti sul piatto ci sarebbe il fantomatico referendum consultivo sull’Euro e una proposta più dura sull’immigrazione (Di Maio già attivissimo sul punto, basta leggere le ultime dichiarazioni). Per la sinistra c’è il reddito di cittadinanza e l’anti-corruzione. Per entrambi la revisione della legge Fornero, ovvero smontare l’unica riforma vera degli ultimi cinque anni. Su questi cinque punti i grillini pensano di poter raccogliere di volta in volta il consenso, traballante e con formula inedita certo, ma quanto costerebbe a Lega Nord e ai vari movimenti di sinistra usciti in polemica con il PD dire di no a questo schema? L’alternativa sarebbero o nuove elezioni o la formazione di una maggioranza alternativa tra Berlusconi, pezzi del centro e un PD sempre più renziano. Come la prenderebbero gli elettori della Lega e della sinistra sempre più accomunati dalla contestazione verso quell’establishment incarnato dal Partito Democratico? Qualora i rispettivi partiti dicessero no alla proposta a 5 stelle questi elettori migrerebbero proprio verso i grillini abbandonando gli inconcludenti Salvini e Meloni così come i sempre temporeggianti D’Alema, Bersani e co.

In questo scenario entra in gioco il Presidente Mattarella. Si troverebbe a compiere una scelta fondamentale per il Paese: conferire l’incarico ai 5 stelle o ad una coalizione parlamentare che, di fatto, potrebbe già essere formata subito dopo il voto da PD, Forza Italia e altri centristi? Fino ad oggi il Presidente della Repubblica ha sempre optato per la stabilità, ma questa sembra essere a rischio in ogni caso. Molto, probabilmente, dipenderà sia dallo scenario europeo (dopo le elezioni francesi e tedesche) sia dalle percentuali di arrivo dei partiti. Se il Movimento 5 Stelle fosse nettamente avanti (diciamo di almeno 3-4 punti percentuali) sarebbe davvero difficile negargli almeno un mandato esplorativo.

E i mercati? Come già Brexit e Trump hanno dimostrato non è tanto il risultato elettorale a spaventare gli elettori quanto la capacità di presentare leadership e un programma credibile. Questo potrebbe essere un problema per i 5 stelle, specie se le riforme dovessero arrancare dopo i primi mesi. Tuttavia, non sarà una emergenza da fronteggiare nel momento della formazione del governo, anche se serviranno alcune rassicurazioni come un nome ragionevole e di alto livello al Ministero dell’Economie e delle Finanze e una certa cautela su una effettiva uscita dall’euro. D’altronde, lo spread sta già risalendo a causa del deficit e della crescita del debito pubblico degli ultimi tre anni per le politiche del governo Renzi. Qualunque esecutivo si troverà di fronte a questo grande problema.

Mentre questo panorama si delinea in molti si preparano per un regime change. Benché a parole siano tutti fermamente anti-grillini, numerosi tra giovani burocrati, accademici, tecnocrati delle istituzioni, rappresentanti d’interessi, associazioni e categorie, hanno iniziato a mutare il proprio atteggiamento di fronte alla realtà. Non va dimenticato che per molte di queste figure un ribaltamento del sistema significa l’apertura di nuove porte ed opportunità. Lo smantellamento del sistema di potere del Partito Democratico significherebbe avviare nuove rese dei conti nelle istituzioni pubbliche e private, si pensi non solo alle società controllate dallo Stato ma anche alla Confindustria, all’Inps, alla CdP, alle nomine interne ai ministeri, alla Rai, ai finanziamenti pubblici all’editoria. Con un governo grillino compartecipato da sinistra e Lega Nord (la materia di scambio saranno anche queste meno nobili pratiche, pur se i pentastellati non lo ammetteranno mai) si aprirebbero gli spazi per rimpiazzare ovunque i renziani che, in questi anni, hanno colonizzato qualsiasi spazio pubblico e para-pubblico. Per molti ciò può significare nuove possibilità di ottenere ruoli e incarichi e per tanti altri, specie a sinistra, un ritorno al tavolo del potere.

L’intero scenario sopra delineato non è probabile, ma è possibile. Le sue percentuali di riuscita cresceranno tanto più quanto i partiti tradizionali risulteranno pigri e prudenti nel delineare la propria offerta politica. Chi nel 2012, 2013 e 2014 ha guardato con favore all’ascesa di Matteo Renzi oggi sarà probabilmente molto deluso se non appartiene alle categorie classiche del blocco sociale del PD (dipendenti pubblici, insegnanti, pensionati), cioè le uniche ad aver davvero beneficiato delle politiche del Rottamatore. Considerate le scelte politiche del passato e le manovre economiche (la prima ora, quella pesante a dicembre), sarà difficile per il fiorentino convincere quella consistente fetta di elettorato composto da autonomi, imprenditori, giovani e dipendenti privati così da ampliare il proprio consenso. L’autore di questa newsletter teme che non sarà sufficiente il mancato innalzamento di un punto di IVA, qualche piccolo sgravio fiscale a debito per le imprese o la polemica con l’Europa dal Nazareno per convincere quei gruppi elettorali.

Quel blocco oggi si trova in una situazione fluida, ed è il pacchetto di voti che era un tempo del vecchio centrodestra. In mancanza di questo o di credibili alternative nuove e di rottura a destra del PD (ben più di Macron e altro che Renzi), dove andranno a finire? Se si mettono insieme tutte le tessere del puzzle forse la strategia grillina (e il pericolo della sua riuscita) non è così peregrina.


Lorenzo Castellani
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