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Liberaitalia, una nuova offerta politica

Liberaitalia, una nuova offerta politica
Sabato 6 maggio, a Milano, un bel po’ di liberali si sono dati convegno e, alla presenza del capogruppo liberale al Parlamento Europeo, Guy Verhofstadt, hanno cominciato a ragionare sul futuro, affermando la necessità della formazione in Italia di un soggetto politico liberale, capace di partecipare alla prossime elezioni politiche col simbolo LiBERAITALIA-LIB, il cui logo è comparso sullo schermo della sala al termine del convegno.

Avendo avuto l’opportunità di parlare ai convenuti, ho provato a sintetizzare le ragioni della necessità di una presenza liberale autonoma con alcune sintetiche affermazioni su cui ora proverò a riflettere in termini più dettagliati, partendo dalla considerazione che, se vogliamo essere e dirci europei, oltre che italiani, anche la nostra offerta politica, deve essere europea; e, in Europa, in tutti i paesi dell’Europa, l’offerta politica è chiarissima ed emblematica: ci sono i conservatori, i popolari, i liberali, i socialisti, e poi ci sono le sinistre, le destre e i populisti di vario genere.

E così è sempre stato anche in Italia, sino al 1994, quando la seconda repubblica – propiziata da un mix di corruzione politica, giustizialismo istituzionale e mediatico, illusione maggioritaria – ha profondamente cambiato l’offerta politica, proponendo i partiti-contenitori di centrosinistra e di centro destra, all’interno dei quali si sono collocati improbabili sigle, di volta in volta inventate facendo ricorso alla fantasia.

Per individuarle si è allora cominciato a fare ricorso alla zoologia (l’asinello) o alla botanica (la quercia, l’ulivo, la margherita, la rosa), con operazioni mimetiche che hanno finito per portarci oggi anche al “partito non partito”, quasi parafrasando la “non-persona” o la “neo-lingua” di Orwell, nel cui paese immaginario di Oceania vigono tre regole ossimoriche: la guerra è pace (perché nessuno può vincere o perdere, che ci sia pace o guerra), la libertà è schiavitù (perché chi è libero è destinato alla sconfitta e alla morte), l’ignoranza è forza (perché l’ignoranza dei più garantisce il potere dei pochi).

Ahinoi, questa è la fotografia politica dell’Italia di oggi, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Son spariti i partiti costruiti sulle convinzioni e sugli ideali, che sono, ancora oggi, in varia gradazione, quelli eterni regalatici dalla rivoluzione francese (la libertà, l’eguaglianza, la fraternità/solidarietà), e sono comparsi i partiti basati sulle convenienze, virtuali nella loro struttura ma concretissimi nella capacità di occupare il potere e autoreferenziali nella nomina dei rispettivi parlamentari.

Da qui tre ulteriori conseguenze: l’indifferenza degli eletti rispetto ai partitiche li hanno nominati, la disaffezione degli elettori verso la politica, e, e non da ultimo, un diffuso sistema corruttivo, in cui si usano soldi pubblici per scopi privati, il luogo del finanziamento illegale dei partiti della prima Repubblica, in cui almeno si usavano soldi privati per scopi pubblici.

Tutto ciò appartiene ancora al presente, ma la duplice bocciatura di riforma costituzionale e italicum rende oggi possibile, ovviamente a leggi elettorali emerse dalle sentenze della Corte Costituzionale, relegarlo al passato con una nuova offerta politica che prima era impossibile.

Se riusciremo ad andare verso la terza repubblica, non si tratterà di tornare alla prima, ma di rinverdire in forme nuove ciò che la prima aveva realizzato, e che poi la mancanza di alternative e di contendibilità del potere aveva, via via, corrotto.

Il compito di un nuovo soggetto politico che voglia ispirarsi ai principi del liberalismo dovrà essere quello di modernizzare l’Italia, rendendola simile agli altri paesi europei, e quindi di garantire la neutralità dello Stato (che deve essere solo il regolatore dei conflitti), e di assicurare la diversità degli individui (quale che sia il loro genere), la spontaneità dell’economia (libera di perseguire l’interesse privato nell’ambito di regole pubbliche), l’imparzialità, la snellezza e la meritocrazia nella pubblica amministrazione (a partire dall’accesso, magari riesumando dal dimenticatoio la norma costituzionale, art. 97, per cui agli impieghi pubblici si accede mediante concorso).

E tutto questo non si potrà fare se non si assicura la rappresentatività delle istituzioni, se non si sostituisce la cooptazione dall’alto con le scelte dal basso, in modo che chi elegge sia giudice quotidiano di chi è stato eletto; che è poi la battaglia che molti liberali, non tutti purtroppo, hanno di recente condotto.

In definitiva occorre riconciliare i cittadini con le istituzioni e con chi è deputato a rappresentarli, in modo che a ogni soggetto politico corrisponda una precisa visione della vita sociale, nella quale chi la condivide possa riconoscersi, e che poi abbia titolo per pretenderne il rispetto nei comportamenti di chi sia stato delegato a rappresentarli.

Da oltre venti anni, il termine “liberale” è diventato un mero aggettivo, di cui tutti hanno tentato di appropriarsi, servendosene per raccattare qualche voto in più, senza trarne le conseguenze sui rispettivi comportamenti politici e di governo.

È per questo che la questione liberale torna di attualità oggi, quando è finalmente possibile colmare un vuoto e i liberali possono rimettersi “in marcia” (en marche, se si vuole), non ciascuno da solo, ma tutti insieme come comunità politica, per provare a fare nascere un soggetto che sia esclusivamente liberale, e che potrà diventare uno dei protagonisti della terza repubblica, se l’adesione dei liberali, prima, ne consentirà la nascita, e se il consenso degli italiani, poi, ne favorirà la crescita.

È ciò che fanno tutti gli altri: il PD, quando si riconosce nel socialismo europeo, Forza Italia e tanti altri quando si riconoscono nel popolarismo europeo, i sovranisti quando si riconoscono nei loro omologhi, e i populisti quando provano a fare altrettanto, talvolta sbagliando indirizzo.

Lo scopo che LIBERAITALIA si è dato è di riunire la diaspora liberale di questi anni, non solo quella delle generazioni passate, che ne sentono la nostalgia, ma soprattutto quelli delle nuove generazioni, che ne avvertono la mancanza e che vogliono ricongiungersi politicamente alla famiglia europea dei liberali, ma che non hanno trovato in Italia il soggetto politico per farlo a pieno titolo, e per questo hanno dovuto ricorrere all’iscrizione individuale, che può servire a ciascuno per salvare l’anima, ma non serve al Paese per introdurvi quelle massicce dosi di liberalismo di cui ha estremo bisogno.

Ed è per questo che dobbiamo essere particolarmente grati a Guy Verhofstadt, che, sfidando le infelici esperienze del passato, più e meno recente, ha voluto fornire il suo incoraggiamento all’iniziativa della Fondazione Einaudi che ha fortemente voluto il convegno di Milano, e ciò pochi giorni dopo avere dato, con un durissimo intervento al parlamento Europeo, una solenne lezione di liberalismo ed europeismo all’attuale premier ungherese, che da anni è impegnato nella distruzione delle libertà democratiche e civili del suo paese, avendo dimenticato quanto il passato regime abbia fatto strage di quelle libertà, anche col sangue dei suoi cittadini.

Se la riunione di Milano è stata possibile, il giusto merito va riconosciuto a chi ha accettato di promuoverla, di favorirla e di parteciparvi: e quindi a Giuseppe Benedetto, Davide Giacalone, e Andrea Pruiti, che, dal presidio liberale della Fondazione Einaudi, hanno immaginato il progetto e vi hanno poi lavorato senza sosta, e poi a Enrico Zanetti, che ha preannunziato la confluenza di Scelta Civica in LIBERAITALI, e a Flavio Tosi che ne ha garantito il successo di pubblico,e poi a chi era presente: i repubblicani (con Mauro Aparo), gli amici di ALI (con Alessandro de Nicola, Silvia Enrico e Flavio Pasotti), i Liberi Cittadini (con Niccolò Rinaldi, Alessio Morganti e Maria Maddalena Savini), gli Individual Member di ALDE (con Francesca Mercanti, Antonio Stango), e i gli amici di LiberalCamp(con Andrea Mariscotti), che organizzano a Roma il 27 maggio un evento simile, che spero possa servire a fugare qualche dubbio che ancora permane.

E infine, da siciliano, un particolare ringraziamento va a Roberto La Galla,che io mi auguro possa essere il prossimo presidente della Regione Siciliana.

Se poi questa riunione è stata densa di contenuti, lo dobbiamo alla relazione sull’Europa di Davide Giacalone, alla lezione di economia di Dominick Salvatore, e all’impegno di Beniamino Migliucci, che con l’Unione delle Camere Penali ha iniziato la grande battaglia liberale per la separazione delle carriere dei magistrati.

Non senza rammentare a chi ancora si attarda sulle posizioni del passato, che nulla del genere sarebbe stato possibile se gli italiani, prima, e la Corte Costituzionale, poi, avessero convalidato le riforme istituzionalidel passato governo.

La riunione di Milano non è stata la conclusione di un percorso, ma piuttosto solo l’inizio, l’apertura di un cantiere, nel quale dovranno essere impegnati anche tanti che ancora non ci sono e che dovrebberoinvece a pieno titolo esserci.

A partire dagli amici di Critica Liberale e di Libro Aperto, che non hanno mai smesso di fare sentire la voce della cultura liberale nell’Italia illiberale di ieri e di oggi; e poi quelli del PLI, che hanno tenuto alta per venti anni la bandiera liberale; quelli di LIBMOV, che per primi, più di tre anni fa, anche allora presente Guy Verhofstadt, hanno tentato la strada che ora stiamo provando a percorrere; quelli della Democrazia Liberale di Valerio Zanone e dei Liberali di Renato Altissimo, che ai liberali d’antan come me mancano oggi come non mai, e che vanno ricordati non come gli ultimi autorevoli leader liberali dello scorso secolo, ma come i primi, ancorché inascoltati, di questo; a quei Radicali che sono convinti che, assieme alle meritorie battaglie monotematiche, occorre occuparsi anche dei problemi generali del Paese.

Un appello che si rivolge anche a tutti quegli amici che hanno creato la loro piccola casa, liberale, radicale o repubblicana, in vario modo denominata, non volendo frequentare, spesso le case degli altri; e anche a quelli che le case degli altri hanno accettato di frequentarle, più o meno tollerati, in mancanza d’altro, stanchi di aspettare, ingoiando il rospo dell’adesione ad altre formazioni politiche europee;e, infine, ad alcuni altri che stanno dimostrando, anche in questi giorni, di avere grandi energie politiche, organizzative e professionali, da mettere al servizio di un’Italia più liberale, ma pensano ancora ai meccanismi maggioritari della seconda repubblica, mentre nel cantiere identitario che è stato aperto potrebbero avere una posizione eminente, se solo decidessero di esserci.

Il primo dovere di chi era a Milano sarà di andare a cercare quelli che a Milano non c’erano, provando a convincerli che nel mutato contesto istituzionale ci sono le condizioni necessarie, anche se da sole non sufficienti, per mettere insieme una nuova comunità di cittadini, e da qui per fare partire una nuova offerta politica, in cui ognuno abbia la possibilità di dire la sua, in pari dignità, e tutti insieme potremo dire la nostra agli italiani.

A nessuno di questi amici, che ancora non ci sono, andrà chiesto da dove vengano, ma solo verso dove e vero cosa vogliono andare, unica cifra unificante essendo quella del liberalismo non solo affermato ma soprattutto praticato nei comportamenti politici di ogni giorno.

Il ruolo dei liberali sarà quello di dare forza rappresentativa ai ceti medi che, nell’ideale disegno dell’elefantino di Milanovic, si collocano nella zona sempre più calante della sua proboscide, impoverendosi ogni giorno di più, proprio quando una parte significativa della popolazione mondiale è uscita dalla fascia della povertà.

Le risposte positive ci sproneranno, quelle negative non ci scoraggeranno! E sarà anche possibile che, strada facendo, si finisca per perdere qualche iniziale adesione non sufficientemente motivata.

E quando saremo pronti, con chi ci starà, piuttosto che una convention, in cui uno solo parla, gli altri ascoltano, applaudono e vanno via dimenticando di esserci stati; e in luogo delle primarie dei giorni scorsi (in cui vota anche chi poi non può o non vuole votarti alle elezioni), o di quelle on line (in cui non sai nemmeno chi vota e il risultato dipende da ignoti decisori); invece di tutto questo, sarà necessario fare, nelle forme che i liberali finalmente organizzati insieme decideranno, un vero congresso, in cui si confronteranno, si scontreranno, proveranno vicendevolmente a convincerci, e poi, facendo sintesi, decideranno insieme programma, linea politica e alleanze; e dopo, stando insieme, continueranno a confrontarsi e a giudicare reciprocamente la coerenza dei rispettivi comportamenti, impegnandosi in politica ogni giorno che passa, e preparandosi insieme alle scadenze politiche successive.

Insieme, uniti per unire, che sarà la cifra dell’impegno che ci tocca di assolvere; e, se ce la metteremo tutta, questa volta, contro ogni previsione, potremmo anche farcela; e, se no, si sarà trattato dell’ennesimo tentativo fallito, di cui potremo dolerci solo con noi stessi.

Enzo Palumbo, Critica liberale 10 maggio 2017
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