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Girarrosto Renzi e i silenzi di Gentiloni

Girarrosto Renzi e i silenzi di Gentiloni
Matteo Renzi sta cercando di riportarsi al centro della scena politica. Il Segretario del PD ha avviato una nuova campagna mediatica fatta di anticipazioni del suo nuovo libro e dichiarazioni a tutto campo sull'Europa, gli immigrati, l'economia. Si muove e parla come fosse ancora lui il titolare di Palazzo Chigi. Non è così e lo ha fatto notare il Ministro dell'Economia Piercarlo Padoan che all'ennesima domanda sulla 'ricetta Renzi' relativa all'aumento del deficit pubblico ha ricordato con fastidio come queste idee siano 'esterne al governo'. Esterne o estranee? Enigmatici anche i silenzi di Gentiloni che ha scelto di perseguire una strategia istituzionale: solo incontri sui tavoli europei, solo dichiarazioni ufficiali, nessuna ingerenza negli affari interni del Partito Democratico, amministrazione prudente del potere, che gli ha permesso di scongiurare l'aumento dell'IVA grazie allo 0,3% di deficit concesso da Bruxelles, mentre il Segretario del suo partito straparla sui media di immigrazione, deficit e fiscal compact. Gentiloni non commenta e pone la sua concretezza contro la comunicazione di Renzi.

Chi in politica va troppo di fretta rischia di finire sulla graticola e di trovare molte porte chiuse. Quelle che l'ex Presidente del Consiglio ha trovato sia a via XX Settembre che a Bruxelles dove la proposta di cinque anni con deficit al 2,9% è stata derubricata come 'fumo negli occhi'. Nel frattempo sono giorni che il Corriere della Sera fa notare come un pezzo dell'establishment italiano sia stufo di Renzi e potrebbe preferire profili che appaiono più affidabili, come quello dell'attuale Presidente del Consiglio oppure preferire una rottura netta come quella che si avrebbe con i 5 Stelle.

Letta in retrospettiva la politica europea è stato ed è il vero punto debole della strategia renziana. Se nel 2014 lo scambio allentamento sul deficit in cambio di riforme strutturali poteva risultare credibile vista la novità della leadership di Renzi, oggi questa via non pare più perseguibile, almeno nel senso auspicato dal Segretario PD, proprio per il fallimento delle riforme del suo esecutivo. Gli allentamenti sul deficit concessi da Bruxelles non hanno infatti riavviato la crescita italiana, che resta la più bassa dell'EU, e sono stati sperperati in regalie elettorali a determinate categorie (pensionati, insegnanti, diciottenni). Scelte politiche sbagliate e inefficaci, un'occasione sprecata nello sfruttare gli oltre 70 miliardi di denaro pubblico in più a disposizione. Questo lo sa bene il duo di fatto alla guida dell'Unione Europea, cioè Macron-Merkel, i quali non sembrano intenzionati a cedere sul deficit italiano come suggerito da Renzi, che oggi è solo un ex premier che cerca di ritornare in auge. C'è una parolina magica che serpeggia nelle stanze dell'Unione Europea e anche tra gli analisti economico-finanziari ed è credibilità. Quella che Matteo Renzi sembra aver perso nell'ultimo anno agli occhi degli alleati europei e che invece Gentiloni pare riscuotere presso questi ultimi.

La strategia del Segretario PD appare chiara quanto rischiosa: occupare la scena mediatica, far dimenticare la sconfitta al referendum e le polemiche interne alla sinistra, catturare tutta l'attenzione con qualsiasi argomento e oscurare Gentiloni facendolo apparire come un regnante incolore e provvisorio, un momento fisiologico di passaggio dopo la bocciatura del referendum. Inoltre, nella testa del Segretario, guadagnare la scena significa porre fine all'emorragia di voti. Una strategia berlusconiana senza essere Berlusconi.  Per fare cosa? Tenere saldamente il timone del Partito Democratico, occupare con polemiche come quella contro il fiscal compact il campo dell'anti-establishment (efficace? Vale il teorema copia-originale), evitare di finire sul girarrosto della sinistra italiana (e dei piccoli centristi) dove non si aspetta altro che un'alleanza in Parlamento alla prossima legislatura in cui la moneta di scambio sia la testa di Renzi e dei suoi fedelissimi. E, se possibile, creare un incidente in Parlamento che faccia perdere la maggioranza a Gentiloni per votare il prima possibile sperando di rimanere il primo partito italiano e avere i voti sufficienti per governare con Berlusconi. Il Segretario del PD sa che il lungo periodo (cioè la legislatura a scadenza naturale) non lo favorisce perché aumenta la possibilità di ulteriori scissioni nel PD o di sfiducia alla propria leadership e che i sondaggi continuano a registrare una progressiva diminuzione del consenso.

Tuttavia, ci sono tre grandi ostacoli al piano renziano: la legge di bilancio che può essere il vero strumento capace di scongiurare le elezioni anticipate (con il favore di Mattarella che si è espressamente pronunciato in favore della scadenza naturale), le elezioni siciliane in cui il Partito Democratico rischia una clamorosa sconfitta a favore dei grillini e la legge elettorale che, al momento, prevede uno sbarramento dell'8% al Senato. Ciò significa che, nella Camera alta, arriveranno verosimilmente solo quattro partiti: PD, Forza Italia, Lega Nord e Movimento 5 Stelle. Qui, viste le ultime dichiarazioni di Salvini di apertura verso i 5 Stelle, è una partita secca tra due poli: chi mette insieme più seggi governa o impedisce agli altri di governare. Non è certo oggi che Partito Democratico e Forza Italia raggiungano la maggioranza assoluta al Senato. Ad ogni modo per Renzi, leader divisivo e inviso a molti, sarà improbabile ritornare a Palazzo Chigi anche se l'alleanza con Berlusconi garantisse i numeri.

E' in questo contesto che il silente Gentiloni, con il sostegno del Presidente della Repubblica, di tutti gli ex democristiani e i favori dell'Europa, potrebbe tornare a Palazzo Chigi. Con buona pace di Renzi, spinto a rischiare tutto e cotto a fuoco lento dagli avversari interni nonostante le luci della ribalta mediatica.
Lorenzo Castellani
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